giovedì 10 maggio 2012

definizioni di stereotipo e pregiudizio

Ma cos'è uno stereotipo?




Lo stereotipo è la visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo riconoscibile di persone accomunate da certe caratteristiche o qualità. Si tratta di un concetto astratto e schematico che può avere un significato neutrale (ad es. lo stereotipo del Natale con la neve e il caminetto acceso), positivo (la cucina francese è la più raffinata del mondo) o negativo (l'associazione tra consumo di droghe e la musica rock) e, in questo caso, rispecchia talvolta l'opinione di un gruppo sociale riguardo ad altri gruppi. Se usato in senso negativo o pregiudizievole, lo stereotipo è considerato da molti come una credenza indesiderabile che può essere cambiata tramite l'educazione e/o la familiarizzazione.
Talvolta lo stereotipo è una caricatura o un'inversione di alcune caratteristiche positive possedute dai membri di un gruppo, esagerate al punto da diventare detestabili o ridicole. Alcuni gruppi hanno cercato, per deliberata strategia politica, di sviluppare nuovi stereotipi positivi su se stessi

Ma cos'è un pregiudizio?

Il termine pregiudizio (dal latino prae, "prima" e iudicium, "giudizio") può assumere diversi significati, tutti in qualche modo collegati alla nozione di "giudizio prematuro", ossia parziale e basato su argomenti insufficienti o su una loro non completa o indiretta conoscenza
Nel linguaggio della psicologia sociale, quando si parla di pregiudizi ci si riferisce a un tipo particolare di atteggiamenti. Propriamente, sono atteggiamenti intergruppo, cioè posizioni di favore o sfavore che hanno per oggetto un gruppo e si formano nelle relazioni intergruppo. Il pregiudizio può essere analizzato da un punto di vista antropologico perché nasce dal comune modo di approcciarsi verso la realtà. Fa parte quindi del senso comune, che è quella forma di pensiero e di ragionamento che appartiene a una cultura e ne plasma la produzione culturale in modo inconsapevole. Si può dire anche che i pregiudizi sono culturali nel senso che variano da cultura a cultura. Ad esempio gli europei hanno determinati pregiudizi nei confronti delle qualità fisiche e psicologiche delle etnie di pelle nera. Molte tribù africane, all'opposto, pensano che gli europei siano portatori di stregoneria nella loro terra. Inoltre vi sono basi psicologiche perché è un pensiero che si basa sulle paure e le fobie del singolo individuo. Ad esempio, un pregiudizio può portare al razzismo, perché si ha paura dell'altro, dell'altra cultura, specie quando la si conosce poco. Dunque l'ignoranza in un determinato campo porta al pregiudizio.
Un pregiudizio è generalmente basato su una predilezione immotivata per un particolare punto di vista o una particolare ideologia. Un tale pregiudizio può ad esempio condurre ad accettare o rifiutare la validità di una dichiarazione non in base alla forza degli argomenti a supporto della dichiarazione stessa, ma in base alla corrispondenza alle proprie idee preconcette. Senza quindi alcuna riflessione.

La definizione che ne dà la Psicologia Sociale

Stereotipi e pregiudizi: processi di categorizzazione e dinamiche relazionali [modifica]

Fu il giornalista Lippman a suggerire il termine stereotipo per indicare quel tipo di semplificazione rigida che facciamo della realtà e che è ravvisabile nell'opinione pubblica. Gli stereotipi sono rappresentazioni mentali che emergono da raggruppare gli individui sulla base dei fattori che li accomunano, tralasciando quelli che li rendono unici. Sono quindi, quelle rappresentazioni cognitive che più risentono dell'effetto omogeneità del gruppo esterno e dell'effetto presunta similarità del gruppo interno. Sono, in sintesi, l'effetto collaterale e degenerato di quei processi cognitivi di autocategorizzazione e di categorizzazione sociale. Katz e Braly, con le loro ricerche fecero emergere che non solo esiste una grande condivisione nell'ingroup, ma anche che le persone tendono a delineare profili dei gruppi esterni come molto omogenei al loro interno. Queste valutazioni, per lo più negative, fanno si che una persona venga giudicata per la sua appartenenza ad un gruppo e non per quello che è in quanto individuo.
Gli stereotipi implicano un processo di discriminazione il quale si articola in comportamenti contro il gruppo verso il quale si nutre pregiudizio e di discriminazioni a favore del proprio gruppo. Vi è quindi una spinta all'etnocentrismo che fa percepire i valori del proprio gruppo di appartenenza come i più validi e condivisibili.
Gli stereotipi comunque, non sono del tutto arbitrari, ma hanno alla loro base le esperienze che facciamo nella nostra vita, per cui è possibile parlare di un “nocciolo di verità”. Smith e Mackie fecero notare che gli ebrei vengono considerati scaltri e avari perché nel medioevo una delle poche occupazioni alla quale avevano accesso era prestare denaro. Cosi, con il tempo, gli ebrei hanno finito per essere visti come particolarmente adatti a questa occupazione. In ogni società, peraltro, può essere rintracciato uno stereotipo comune. Di solito il gradino socioeconomico più basso viene considerato pigro, ignorante, sporco, immorale (negli USA è valso prima per gli irlandesi, poi per gli italiani, poi i portoricani, poi i messicani, ecc). I ruoli sociali spiegano, per lo meno in parte, anche gli stereotipi di genere, quelli che portano a considerare le donne sensibili, emotive, tenere, ecc. Inoltre, grande importanza è data alla situazione, per cui, i tedeschi durante la guerra venivano considerati crucchi e spietati, mentre in tempo di pace, efficienza e rigorosità.
I ruoli sociali di un gruppo limitano e delimitano i comportamenti che vengono messi in atto dai suoi membri. Attraverso un meccanismo cognitivo che viene detto errore di corrispondenza, infatti, i comportamenti associati ai ruoli vengono attribuiti a caratteristiche di personalità dei singoli individui che appartengono a quel gruppo. Il processo che porta alla formazione di uno stereotipo è il seguente: (1) fattori sociali, economici politici e storici creano i ruoli sociali; (2) a gruppi diversi vengono assegnati ruoli diversi; (3) I membri dei gruppi assumono comportamenti appropriati al loro ruolo; (4) a causa dell'errore di corrispondenza, i comportamenti associati ai ruoli vengono attribuiti a caratteristiche di personalità dei singoli; (5) si forma lo stereotipo. Questo non vuol dire però che gli stereotipi non possano riflettere anche quelle che sono le caratteristiche reali di un particolare gruppo. Ma quando si parla di propensioni a base innata, si parla di tendenze medie di una popolazione, mentre gli stereotipi diventano pericolosi perché attribuiscono a tutti i membri di quel dato gruppo, le caratteristiche medie. Pertanto, nel momento in cui le nostre valutazioni di un gruppo o di un individuo si basano sui due seguenti tipi di sillogismo: (1) le donne sono emotive, Federica è una donna, quindi è emotiva; oppure Federica è emotiva, Federica è una donna, quindi le donne sono emotive, siamo in entrambi i casi vittime di stereotipi distorti.
Quindi gli stereotipi hanno le stesse conseguenze degli schemi, ovvero, le informazioni nuove che non siano in linea con lo stereotipo vengono con facilità rifiutate o dimenticate. Le informazioni ambigue vengono invece interpretate in modo da essere congruenti con l'immagine mentale che si ha di un certo gruppo. Sagar e Schofield scoprirono negli anni ottanta, che lo stereotipo della “razza” guida l'interpretazione degli eventi già in età precoce. (i bambini bianchi e neri interpretavano razzisticamente delle immagini anonime su cui potevano inventare una storia).
Peraltro, come tutti gli schemi, gli stereotipi possono spingere coloro che fanno parte del gruppo esterno a mettere in atto proprio quei comportamenti che confermano lo stereotipo. Lo stereotipo si pone quindi in termini di “profezia che si auto-avvera”.
Quindi, l'auto-consapevolezza di far parte di una minoranza, di essere diversi, porta a percepire gli altri come pronti a reagire alla propria diversità, anche quando in effetti questo non sta accadendo. Kleck e Strenta, negli anni ottanta, hanno dimostrato che la consapevolezza di essere portatori di un difetto fisico altera la percezione degli altri nei propri riguardi (disegnarono finte cicatrici sui volti di alcune “cavie”, ma prima di farle andare in giro, cancellarono di nascosto queste cicatrici. Quindi una volta andati in giro per la città, pensarono di essere osservati in maniera particolare, anche se in realtà non avevano nessuna anomalia). Gli stereotipi sono quindi il lato oscuro dei nostri processi di categorizzazione sociale.
Nei nostri processi di elaborazione delle informazioni siamo portati a prestare più attenzione a quelle che sono le caratteristiche insolite, salienti degli individui, e a trascurare le informazioni relative a ciò che è comune. Per un meccanismo cognitivo che è stato scoperto da Loren e Jean Chapman, siamo portati a ritenere che se due eventi insoliti, poco frequenti e pertanto distintivi, si verificano per alcune volte allo stesso tempo, questi sarebbero correlati tra loro. Questo effetto di condivisione di distintività, definisce una correlazione illusoria (se avviene un borseggio, e tra i presenti c'è un nero, si tende a pensare che sia egli il colpevole). Quindi, quando in un gruppo qualcuno è molto visibile, e cattura la nostra attenzione (salienza), tendiamo a vederlo come responsabile di quello che succede.
I mass media, nel riportare di delitti e atti delinquenziali, riflettono proprio questo fenomeno e lo amplificano. Il risultato di questo modo di presentare gli eventi è quello di creare una correlazione tra i due fenomeni e far sì che si rafforzi nell'immaginario della popolazione, lo stereotipo che gli omosessuali o i malati di mente o gli extracomunitari, siano violenti, immorali e irresponsabili, senza differenza per i membri di quei gruppi.


Nessun commento:

Posta un commento