Kila il punto di vista delle donne
Educare alle differenze di genere: nodo cruciale per un orientamento di qualità
La scuola dovrebbe perseguire gli obiettivi di educazione a una cittadinanza di genere e
di promozione di una cultura di non discriminazione. Il tema delle differenza e delle differenze, di genere, ma non solo, costituisce un nodo cruciale per una scuola di qualità e per l’orientamento in età adulta, soprattutto per le donne, per le quali sono importanti azioni specifiche in grado di aiutarle
a entrare e rimanere nel mercato del lavoro. Eppure, si tratta di questioni che non ricevono l’attenzione che meritano o rischiano di
passare in secondo piano anche a causa dei comportamenti di difesa di poteri acquisiti. Il divenire donna o uomo, sostiene Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle Differenze all’Università Bicocca di Milano, non è un processo lineare. La vicenda tra i sessi, dato che è vicenda di culture e di vite, è educativa. Per questo motivo, una pratica pedagogica sessuata, che offra ascolto e centralità alle parole di giovani donne e uomini, è l’unica che possa offrire possibilità di comprensione di quel che accade e cambia.
Di certo si propone alla scuola di aprire una nuova riflessione su questa tessitura del proprio di sé donna e uomo, che è un lavoro quotidiano. L’immagine di sé nel futuro, il confronto con esperienze, vissuti e relazioni del presente, è il lavoro di crescita che dovrebbe avvenire soprattutto nel luogo educativo.
Eppure, spesso la scuola fa esattamente il contrario: ad esempio, nel momento in cui non pone a critica ruoli e ignora stereotipi sessuali, di fatto li pratica. Invece, dovrebbe offrire a ognuno le risorse per comprendersi, perché ogni donna e ogni uomo apprenda ad accettare e condividere intimamente la propria fragilità. La scuola è un luogo di donne, ma nelle stesse insegnanti c’è resistenza ad affrontare temi e compiti di una pedagogia sessuata; parallelamente, i giovani uomini hanno nella scuola pochi modelli del loro genere e vivono spesso carenze simili anche in famiglia. Come argomenta Stefano Ciccone, presidente dell’associazione Maschile plurale, in un luogo come la scuola si infrangono le genealogie maschili perché la costruzione dei saperi formalizzati rende obsoleti i saperi maschili tradizionali. Non è un caso che a scuola i maschi vadano meno bene: il percorso di costruzione della propria identità, da parte di un uomo, è contrassegnato da continue iniziazioni, verifiche e minacce che richiamano la precarietà della propria virilità. Nell’ambito di una riflessione critica su ruoli sessuali e disparità tra donne e uomini che ancora oggi appare un campo di ricerca prioritariamente femminile, gli uomini, in un certo senso, sono tagliati fuori.
di promozione di una cultura di non discriminazione. Il tema delle differenza e delle differenze, di genere, ma non solo, costituisce un nodo cruciale per una scuola di qualità e per l’orientamento in età adulta, soprattutto per le donne, per le quali sono importanti azioni specifiche in grado di aiutarle
a entrare e rimanere nel mercato del lavoro. Eppure, si tratta di questioni che non ricevono l’attenzione che meritano o rischiano di
passare in secondo piano anche a causa dei comportamenti di difesa di poteri acquisiti. Il divenire donna o uomo, sostiene Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle Differenze all’Università Bicocca di Milano, non è un processo lineare. La vicenda tra i sessi, dato che è vicenda di culture e di vite, è educativa. Per questo motivo, una pratica pedagogica sessuata, che offra ascolto e centralità alle parole di giovani donne e uomini, è l’unica che possa offrire possibilità di comprensione di quel che accade e cambia.
Di certo si propone alla scuola di aprire una nuova riflessione su questa tessitura del proprio di sé donna e uomo, che è un lavoro quotidiano. L’immagine di sé nel futuro, il confronto con esperienze, vissuti e relazioni del presente, è il lavoro di crescita che dovrebbe avvenire soprattutto nel luogo educativo.
Eppure, spesso la scuola fa esattamente il contrario: ad esempio, nel momento in cui non pone a critica ruoli e ignora stereotipi sessuali, di fatto li pratica. Invece, dovrebbe offrire a ognuno le risorse per comprendersi, perché ogni donna e ogni uomo apprenda ad accettare e condividere intimamente la propria fragilità. La scuola è un luogo di donne, ma nelle stesse insegnanti c’è resistenza ad affrontare temi e compiti di una pedagogia sessuata; parallelamente, i giovani uomini hanno nella scuola pochi modelli del loro genere e vivono spesso carenze simili anche in famiglia. Come argomenta Stefano Ciccone, presidente dell’associazione Maschile plurale, in un luogo come la scuola si infrangono le genealogie maschili perché la costruzione dei saperi formalizzati rende obsoleti i saperi maschili tradizionali. Non è un caso che a scuola i maschi vadano meno bene: il percorso di costruzione della propria identità, da parte di un uomo, è contrassegnato da continue iniziazioni, verifiche e minacce che richiamano la precarietà della propria virilità. Nell’ambito di una riflessione critica su ruoli sessuali e disparità tra donne e uomini che ancora oggi appare un campo di ricerca prioritariamente femminile, gli uomini, in un certo senso, sono tagliati fuori.
Parlare della costruzione delle identità di genere a scuola permette inoltre di affrontare la problematica questione di come costruire un dialogo tra generazioni diverse, come costruire percorsi e linguaggi che non facciano percepire questo dibattito come estraneo a generazioni di ragazzi e ragazze che vivono nella scuola.
Si tratta di un modo di porsi molto complesso, che chiama in causa piani diversi e che è di difficile attuazione a livello di politiche educative.
Si tratta di un modo di porsi molto complesso, che chiama in causa piani diversi e che è di difficile attuazione a livello di politiche educative.
Differenze di genere nei sistemi educativi europei: lo studio
Nel giugno 2010, la Commissione europea ha presentato uno studio, Gender Differencies in Educational Outcomes: Study on the Measures Taken and the Current Situation in Europe, che si basa sui dati raccolti da Eurydice , rete informativa sulle politiche educative istituita dalla Commissione nel 1980. La ricerca analizza i sistemi di 29 Paesi (i 27 Stati membri dell’Unione europea – eccetto la Bulgaria – più Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e prende in esame le modalità attraverso le quali i Paesi europei affrontano le disuguaglianze tra i sessi in ambito educativo.
L’analisi mostra che ci sono ancora molte differenze tra maschi e femmine, sia nella scelta degli studi, sia nei risultati dell’apprendimento.
Tutti i Paesi europei, tranne alcune eccezioni, dispongono di politiche in materia di parità tra i sessi nel campo dell’istruzione, o intendono dotarsene. L’obiettivo è superare i ruoli tradizionali e gli stereotipi, lavorando per l’aumento delle donne negli organi decisionali, il superamento di certi modelli educativi e la lotta alle molestie di genere nelle scuole. Mancano, però, o sono scarse, le iniziative volte a informare i genitori sulle tematiche della parità tra i sessi e a coinvolgerli di più per promuoverle.
Tutti i Paesi europei, tranne alcune eccezioni, dispongono di politiche in materia di parità tra i sessi nel campo dell’istruzione, o intendono dotarsene. L’obiettivo è superare i ruoli tradizionali e gli stereotipi, lavorando per l’aumento delle donne negli organi decisionali, il superamento di certi modelli educativi e la lotta alle molestie di genere nelle scuole. Mancano, però, o sono scarse, le iniziative volte a informare i genitori sulle tematiche della parità tra i sessi e a coinvolgerli di più per promuoverle.
Le ragazze raggiungono di solito livelli di istruzione più elevati e ottengono un punteggio maggiore negli esami di diploma rispetto ai maschi, che hanno più probabilità di ripetere l’anno o lasciare la scuola. Le donne rappresentano la maggioranza degli studenti e dei laureati in quasi tutti i Paesi, in particolare nei settori dell’istruzione, del welfare, della sanità e negli ambiti umanistico e artistico, mentre sono più in difficoltà con la matematica.
In Italia, si assiste ancora a segregazioni di tipo orizzontale e verticale.
In mancanza di un orientamento adeguato, sia maschi sia femmine scelgono in prevalenza percorsi di studio che ricalcano i ruoli tradizionali: le ragazze sono sovrarappresentate negli indirizzi socio-pedagogici e artistici, mentre sono in minoranza negli istituti tecnici.
Inoltre, se l’insegnamento si caratterizza per una netta femminilizzazione, pochissimi Stati hanno adottato iniziative concrete per attrarre personale di sesso maschile. Come se non bastasse, la proporzione delle donne tra il personale didattico cala con l’ascesa nella piramide dirigenziale, soprattutto a livello universitario.
In mancanza di un orientamento adeguato, sia maschi sia femmine scelgono in prevalenza percorsi di studio che ricalcano i ruoli tradizionali: le ragazze sono sovrarappresentate negli indirizzi socio-pedagogici e artistici, mentre sono in minoranza negli istituti tecnici.
Inoltre, se l’insegnamento si caratterizza per una netta femminilizzazione, pochissimi Stati hanno adottato iniziative concrete per attrarre personale di sesso maschile. Come se non bastasse, la proporzione delle donne tra il personale didattico cala con l’ascesa nella piramide dirigenziale, soprattutto a livello universitario.
Le politiche educative in Italia
In Italia si può dire che, in linea generale, le politiche per l’uguaglianza di genere relative alla scuola sono marginali.
Intorno agli anni 80, il gruppo di filosofe Diotima , supportato da insegnanti e studiose di pedagogia, elabora un’applicazione pedagogica che si propone di rifondare la pratica dell’insegnamento alla luce dei capisaldi del pensiero della differenza. La pedagogia delle differenza considera la differenza sessuale come fattore in grado di rimettere in discussione le modalità di organizzazione e trasmissione dei saperi, uscendo dal regime di neutralità che le caratterizza.
Negli anni 90, questa impostazione confluisce nel Movimento per un’Autoriforma Gentile, che ha tentato di portare al centro di un progetto di cambiamento della scuola la relazione educativa e i linguaggi, riflettendo sulla relazione tra maschile e femminile.
Dall’inizio degli anni 90, inizia un percorso istituzionale delle politiche di pari opportunità, sia con la legge n. 125 del 91 (PDF, 93 KB), sia la nascita degli organismi di parità, che nel 1990 interessa il mondo dell’istruzione, quando nasce il Comitato per le Pari Opportunità all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione. Nei tre Piani d’azione messi a punto fino alla fine dell’attività, nel 2000, da un lato si sottolinea il ruolo della differenza, come necessità di tener conto dei limiti di un progetto politico fondato solo sulle strutture dell’esistente; dall’altro lato, però, non si coinvolgono attivamente gli uomini e, in particolare, nella scuola, gli studenti e la componente maschile del corpo docenti.
Pur coi suoi limiti, basandosi a livello teorico sul ruolo centrale alla formazione e all’aggiornamento dei docenti, oltre alla necessità di aprirsi al dialogo con gli uomini, il Comitato dà origine a reti locali di insegnanti e dirigenti scolastici e nel suo solco si collocano le iniziative successive.
La Direttiva Prodi Finocchiaro del 27 marzo 1997 (PDF, 32 KB), contenente azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, dedica una sezione all’obiettivo strategico della “formazione a una cultura di genere”. Nel documento viene rimarcato l’obiettivo di entrare negli insegnamenti curriculari, il tema della formazione dei docenti, oltre a dichiarare la volontà di inserire le questioni di genere in contesti più ampi, come il rispetto delle differenze, la mediazione, l’educazione della sessualità e i rapporti tra i sessi fondati sull’affettività.
Se la direttiva, negli anni successivi, ha avuto applicazione parziale per il mondo dell’istruzione, il suo spirito è stato interpretato meglio in relazioni ai contesti universitari dalla Ministra Laura Balbo, che nel 99 firma un Protocollo (PDF, 27 KB) tra Dipartimento per le Pari Opportunità e Conferenza dei Rettori, per dare impulso ad azioni finalizzate a garantire l’uguaglianza di genere nelle carriere accademiche. Il protocollo ha istituito il Delegato del Rettore per le Pari Opportunità e gli studi di genere, prevedendo che tutte le delegate formassero una conferenza che si incontrava periodicamente.
In Italia si può dire che, in linea generale, le politiche per l’uguaglianza di genere relative alla scuola sono marginali.
Intorno agli anni 80, il gruppo di filosofe Diotima , supportato da insegnanti e studiose di pedagogia, elabora un’applicazione pedagogica che si propone di rifondare la pratica dell’insegnamento alla luce dei capisaldi del pensiero della differenza. La pedagogia delle differenza considera la differenza sessuale come fattore in grado di rimettere in discussione le modalità di organizzazione e trasmissione dei saperi, uscendo dal regime di neutralità che le caratterizza.
Negli anni 90, questa impostazione confluisce nel Movimento per un’Autoriforma Gentile, che ha tentato di portare al centro di un progetto di cambiamento della scuola la relazione educativa e i linguaggi, riflettendo sulla relazione tra maschile e femminile.
Dall’inizio degli anni 90, inizia un percorso istituzionale delle politiche di pari opportunità, sia con la legge n. 125 del 91 (PDF, 93 KB), sia la nascita degli organismi di parità, che nel 1990 interessa il mondo dell’istruzione, quando nasce il Comitato per le Pari Opportunità all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione. Nei tre Piani d’azione messi a punto fino alla fine dell’attività, nel 2000, da un lato si sottolinea il ruolo della differenza, come necessità di tener conto dei limiti di un progetto politico fondato solo sulle strutture dell’esistente; dall’altro lato, però, non si coinvolgono attivamente gli uomini e, in particolare, nella scuola, gli studenti e la componente maschile del corpo docenti.
Pur coi suoi limiti, basandosi a livello teorico sul ruolo centrale alla formazione e all’aggiornamento dei docenti, oltre alla necessità di aprirsi al dialogo con gli uomini, il Comitato dà origine a reti locali di insegnanti e dirigenti scolastici e nel suo solco si collocano le iniziative successive.
La Direttiva Prodi Finocchiaro del 27 marzo 1997 (PDF, 32 KB), contenente azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, dedica una sezione all’obiettivo strategico della “formazione a una cultura di genere”. Nel documento viene rimarcato l’obiettivo di entrare negli insegnamenti curriculari, il tema della formazione dei docenti, oltre a dichiarare la volontà di inserire le questioni di genere in contesti più ampi, come il rispetto delle differenze, la mediazione, l’educazione della sessualità e i rapporti tra i sessi fondati sull’affettività.
Se la direttiva, negli anni successivi, ha avuto applicazione parziale per il mondo dell’istruzione, il suo spirito è stato interpretato meglio in relazioni ai contesti universitari dalla Ministra Laura Balbo, che nel 99 firma un Protocollo (PDF, 27 KB) tra Dipartimento per le Pari Opportunità e Conferenza dei Rettori, per dare impulso ad azioni finalizzate a garantire l’uguaglianza di genere nelle carriere accademiche. Il protocollo ha istituito il Delegato del Rettore per le Pari Opportunità e gli studi di genere, prevedendo che tutte le delegate formassero una conferenza che si incontrava periodicamente.
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