giovedì 10 maggio 2012

video sulle differenze di genere nel periodo fascista


Video tratto da youtube

Video sulle differenze di attività svolte da bimbi e bimbe nel periodo fascista






                                         


educare alla relazione di genere


    Centro studi interdisciplinari di genere   università di Trento
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Educare alla relazione di genere

Educare alla relazione di genere. Percorsi educativi alla relazione con l'altro/a nelle scuole.
a.a 2010-2011
Il progetto è realizzato dall'Assessorato alla solidarietà internazionale e alla convivenza e Assessorato all'istruzione e sport della Provincia Autonoma di Trento, dall'IPRASE del Trentino e  dal Centro di Studi Interdisciplinari di Genere.
Il mondo della scuola si configura come un ambito fondamentale per promuovere una cultura di genere orientata all’equità e al riconoscimento dell’altro, sviluppando una consapevolezza critica rispetto ai modelli dominanti nella società. E’ attraverso la scuola ed i contesti educativi, infatti, che è possibile educare ragazze e ragazzi al rispetto delle differenze, sfidare gli stereotipi e, così facendo, rendere l’istituzione educativa uno strumento efficace per aiutare i/le giovani ad intraprendere un percorso di scoperta di sé, che consenta di valorizzare i propri desideri e le proprie risorse di genere e di instaurare relazioni con l’altro/a basate sul rispetto e l’ascolto reciproci.
Dati questi presupposti, finalità generale del progetto è di intervenire in ambito educativo per fornire un supporto al processo di costruzione identitaria, con la particolare consapevolezza di ciò che significa diventare donne e uomini, in modo tale da consentire una relazione autentica e positiva tra i generi, sperimentando nell’incontro con l’altro/a un’occasione di apprendimento ed educazione al confronto reciproco. Si tratta in altre parole di promuovere una cultura di genere capace di valorizzare le differenze tra il maschile e il femminile, rivolgendosi a tutti gli attori e le attrici del modo scolastico, offrendo occasioni e strumenti per acquisire consapevolezza dei propri posizionamenti di genere e sviluppare, di conseguenza, la capacità di rapportarsi anche con l’altro/a.
Soggetti coinvolti
  1. Studenti e studentesse degli Istituti superiori di Trento che dovrebbero essere accompagnati/e nel processo di diventare donne e uomini;
  2. il corpo docente il cui compito educativo si dovrebbe articolare non solo nella trasmissione di saperi e competenze, ma anche nella capacità di supportare e sostenere il processo di scoperta di sé e dell’altro/a;
  3. i genitori degli studenti e delle studentesse coinvolti/e che dovrebbero poter trovare nella scuola “un’alleata” nell’educazione dei/lle figli/e ed un supporto nel gestire paure e situazioni critiche;
  4. formatori e formatrici che svolgono attività educativa con le scuole e con i giovani.
Articolazione del progetto
ATTIVITA’ rivolte a studentesse e studenti
  • Laboratorio di educazione al genere;
  • Laboratorio di orientamento in ottica  di genere;
  • Laboratori sulla consapevolezza del corpo e delle emozioni.
ATTIVITA’ rivolta a GENITORI degli studenti e delle studentesse degli istituti coinvolti
  • Incontri scuola-famiglia sulla dimensione di genere
ATTIVITA’ rivolta a DOCENTI degli istituti scolastici della provincia di Trento
  • Laboratorio di formazione alla pedagogia della differenza
ATTIVITA’ rivolta a FORMATORI e FORMATRICI dell’associazionismo e del privato sociale
  • Percorso di educazione al genere per formatrici e formatori






 


opinioni di un esperto sul tema della suddivisione tra sessi


      <!--[endif]-->Bebè blog.it

 
Personalmente non credo che sia utile una suddivisione tra sessi, soprattutto nella prima fase della scolarizzazione. Insomma, le classi separate potevano andar bene quando i ruoli tra i due sessi erano molto ben definiti, ma oggi non è più così. Inoltre, uno dei problemi che abbiamo è proprio la difficoltà della comunicazione tra persone diverse, compresi uomini e donne che da sempre battagliano tra di loro. Sarebbe ora che lo stare insieme venisse vissuto come un arricchimento e non come un limite.
Discorso a parte meritano i tutor. Credo che un tutor dello stesso sesso possa essere utile, ma sopratutto nella pubertà o nell’adolescenza, soprattutto per le ragazze alle prese con domande o problemi legati chessò al ciclo mestruale. Tuttavia, resto dell’idea che un buon insegnante e un buon tutor siano tali perché vogliono esserlo e si impegnano ad esserlo. E’ un po’ un’illusione questa che stando con persone dello stesso sesso si migliori.




sessi separati a scuola?


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Sessi separati a scuola?
Secondo alcuni, migliori insegnamento e rendimento.
Ma molti lo bocciano: si alimentano gli stereotipi
MILANO - L’intenzione è buona. Chi propone che a scuola le classi siano divise per sesso – i maschietti da una parte e le femminucce dall’altra – ritiene che in questo modo l’insegnamento sia più efficace, che la personalità si sviluppi in modo più armonico e che il rendimento scolastico sia migliore, e lo sarà anche in futuro. Ma un articolo pubblicato su Scienceboccia senza appello questa idea, bollando come pseudoscientifiche le ricerche che la supportano e accusando il separatismo scolastico di alimentare, negli studenti, stereotipi sull’altro sesso.
IL DIBATTITO - L’articolo si inserisce in un dibattito che negli Stati Uniti è infervorato, da quando, nel 2006, il Dipartimento per l’educazione ha stabilito che anche le scuole pubbliche possono adottare la politica della separazione dei sessi. E a firmarlo non è esattamente un gruppo di ricerca neutrale, ma i fondatori dell’American Council for CoEducational Schooling, associazione no profit che si batte per mantenere il sistema misto. Gli autori sono però anche psicologi ed esperti in materia, che afferiscono a importanti università (la prima firmataria è Diane Halpern, già presidentessa dell’American Psicological Association) e la loro posizione è supportata da numerose ricerche, che scardinano i capisaldi degli “avversari”.
APPROCCIO DIFFERENZIATO? - Primo fra tutti, quello sulla presunta diversità fra il cervello dei bambini e quello delle bambine, che determinando un diverso “stile di apprendimento” giustificherebbe un approccio educativo differenziato. In realtà, spiegano Halpern e colleghi, «i neuroscienziati hanno trovato poche differenze fra bambini e bambine, se si esclude un volume un po’ maggiore del cervello maschile, e una maturazione più precoce di quello femminile, ma nessuna delle due caratteristiche è legata alla capacità di apprendere. Alcune differenze sessuali sono state riportate negli adulti, ma anche in questo caso non sono tali da legittimare un diverso approccio nei metodi educativi».
IMPORTANTE È IL CONTESTO «In effetti – conferma Antonella Costantino, responsabile dell’unità operativa di neuropsichiatria infantile al Policlinico di Milano – i geni (maschili o femminili) concorrono a determinare differenze, che però sono molto influenzate dal contesto in cui si cresce. Questo però non è sufficiente a giustificare la separazione fra i sessi a scuola, anche perché sono ormai numerose le ricerche che dimostrano che qualsiasi sistema educativo che tende a escludere e separare gli studenti – per sesso, per razza o per altre caratteristiche – è meno efficace di quelli che, invece, si basano sull’inclusione, che favoriscono la flessibilità, danno maggiori strumenti per affrontare situazioni diversificate e, sul lungo periodo, rendono meglio anche sotto il profilo più strettamente scolastico». Cade così il secondo caposaldo, in base al quale chi proviene da una scuola a sessi separati avrebbe poi voti migliori all’università e più successo nella vita.
RAMPOLLI E TEST -L’articolo di Science sottolinea, al contrario, che le numerose ricerche che sembrano dimostrare la superiorità del metodo educativo basato sulla separazione dei sessi trascurano due aspetti importanti, che di fatto le invalidano. Il primo è che nella maggior parte dei casi, si tratta di scuole private, frequentate dai rampolli delle upper class, il cui successo dipende molto dalla posizione sociale, oltre che dai bei voti. Il secondo fattore è che spesso per accedere a queste scuole bisogna superare un test di ingresso che esclude a priori gli studenti meno dotati.
STEREOTIPI SESSISTI - Fra gli studi che hanno esaminato gli effetti del separatismo scolastico, sarebbero invece molto più convincenti quello che lo bocciano. «È provato che la separazione dei sessi aumenta gli stereotipi sull’altro sesso, legittimando gli atteggiamenti sessisti» si legge su Science. «In un mondo in cui i ruoli maschile e femminile tendono a confondersi, estremizzare la separazione non può che essere controproducente» conferma Antonella Costantino. «La collaborazione fra i sessi andrebbe invece incentivata e favorita, fin dall’infanzia». Negli Stati Uniti le scuole pubbliche con classi omogenee per sesso sono circa 500; in Gran Bretagna sono in tutto un migliaio (di cui circa 400 pubbliche), mentre in Italia soltanto pochi istituti privati hanno finora adottato la separazioni dei sessi.





                                                    

 

classi divise per sesso in Usa


     CORRIERE DELLA SERA.it  Archivio storico<!--[endif]-->


 
Secondo alcuni psicologi in questo modo gli studenti rendono di più. La critica: «E' un attacco all' eguaglianza del diritto all' istruzione»
Classi divise per sesso nelle scuole degli Usa
Rivoluzione dopo quasi 40 anni di sezioni miste. Bush stanzia tre milioni di dollari: i genitori potranno scegliere Sono molto diffusi gli istituti «single-sex» tra i privati «Con questo progetto ci sarà maggiore democrazia»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - Dopo l' ultimatum all' Unicef («sostituite i programmi di educazione sessuale per i giovani con quelli pro-castità, oppure vi toglieremo i fondi»), la Casa Bianca di George Bush ha deciso di introdurre un' altra rivoluzione che riguarda il mondo giovanile ed è destinata a rivelarsi altrettanto controversa: la divisione dei sessi all' interno delle scuole, maschi in una classe e femmine nell' altra. Invertendo più di tre decenni di politiche federali bi-partisan, l' amministrazione Bush ha dato il via libera alle scuole unisex, spianando la strada alla creazione di istituti di istruzione pubblici solo per maschi o solo per ragazze. A dargli una mano in quest' impresa, giudicata improponibile e ai limiti dell' eresia solo qualche anno fa, sono due dei democratici più di sinistra del Congresso Usa: Hillary Clinton e Ted Kennedy. LEGGE - «E' moralmente giusto offrire questa opzione ai genitori», ha detto Brain Jones, direttore generale del Ministero dell' Istruzione negli Stati Uniti. Che sta già varando una nuova «interpretazione» delle leggi federali vigenti in materia, in modo da permettere i finanziamenti pubblici a questo tipo di scuole. Negli ultimi 30 anni anche le amministrazioni americane più conservatrici - incluse quelle di Ronald Reagan e Bush padre - avevano negato i fondi alle scuole cosiddette single-sex perché violavano la legge federale sulla discriminazione, scaturita dalle lotte per i diritti civili degli anni 60. Ma dal nuovo decreto cadrebbe ogni riferimento alle «libertà civili» e alla «parità dei sessi». PRIVATO - L' attuale normativa non riguarda ovviamente le scuole private per soli ricchi, dove le istituzioni single-sex sono diffusissime. A conferire autorevolezza scientifica ad un business da svariati miliardi di dollari annui sono educatori come la psicologa femminista di Harvard Carol Gilligan. Secondo Gilligan le scuole unisex aumentano il profitto degli studenti. Che invece di consumarsi in sterili e snervanti «lotte tra sessi», hanno modo di cresce e maturare in piena autonomia ed autostima. Il numero crescente di genitori statunitensi che mandano i propri figli in questo tipo di scuola, secondo il presidente Bush, testimonia dunque di un trend inarrestabile. Una tendenza che ha spinto ben 11 istituzioni pubbliche a sfidare le leggi (e le cause giudiziarie), in nome del nuovo slogan «separati è meglio».


 CLASSI DIVISE PER SESSO NELLE SCUOLE DEGLI USA
 
Rivoluzione dopo quasi 40 anni di lezioni miste. Bush stanzia tre milioni di dollari: i genitori potranno scegliere. L’esperto: “Sarebbe un aiuto per i maschi”
Roma - “In Italia la proposta delle classi unisex, lanciata dall’amministrazione Bush, non dovrebbe far scandalo ma indurre alla riflessione perché abbiamo problemi molto simili ai loro”, dice Rosario Drago, studioso dei sistemi scolastici, autore di diverse pubblicazioni e consulente del ministero per la Pubblica Istruzione.
Perché dovrebbe far riflettere?
“Il problema che Bush ha valuto affrontare è quello dei ragazzi nell’età dell’adolescenza. Non è un caso che la maggioranza degli insuccessi sia in Italia che all’estero riguardi i giovani di sesso maschile.”
Separarli dalle ragazze li aiuterebbe?
“Sì. Le ragazze da parecchi anni raggiungono notevoli successi nella scuola e superano i maschi anche nei risultati finali e nella percentuale dei diplomati. Tutto ciò scoraggia i maschi. Le ragazze riescono ad aderire meglio ai comportamenti previsti dalla scuola: disciplina, diligenza e via dicendo. I ragazzi allora ricercano altri valori con cui rappresentare le loro diversità. E questi valori
possono essere anche negativi, come l’aggressività e la violenza, fenomeni abbastanza diffusi nelle scuole degli Stati Uniti, ma non solo”.
In una classe di soli maschi che cosa cambierebbe?
“Sul piano pratico potrebbe indurre le scuole a valorizzare il modo di essere dei ragazzi nel momento della crescita. Ciò significa, ad esempio, stimolarne la naturale propensione ad affrontare le sfide, anche a competere. Per esempio l’ora di educazione fisica, che da qualche anno si svolge in gruppi misti, dove la fisicità si esprime in forme che non privilegiano la vocazione dei ragazzi a confrontarsi anche duramente. [... ]”
Ci sono precedenti nelle scuole pubbliche di altri paesi? “Sì, la Germania e l’Inghilterra hanno gia avvertito questo problema.”


i pregiudizi di genere si imparano a scuola


      Donne da favola non solo donne che leggono, donne che scrivono

 
 I pregiudizi di genere si imparano a scuola
Una ricerca americana conferma che gli stereotipi sessuali non sono innati, ma vengono appresi fin dall’età prescolare. In appena due settimane di “lezione” i bambini di 5 anni assumono comportamenti e ruoli legati al genere.
Quando si tratta di giocare, le bambine scelgono le bambole e i maschi le macchinine. Preferenze orientate al genere che non si osservano nelle prime fasi di vita, dato che i bambini più piccoli tendono a usare oggetti e giochi in modo abbastanza indifferenziato, ma che cominciano a emergere nelle fasi della cosiddetta socializzazione primaria: sono i comportamenti e le lezioni degli adulti, prima i genitori e poi la scuola, a indirizzare i bambini verso ruoli legati al genere.
Lo suggerisce uno studio pubblicato su Child Development da un gruppo di ricerca della Pennsylvania State University (Usa) coordinato dallo psicologo Lynn Liben. I ricercatori hanno analizzato il ruolo della scuola materna nella nascita degli stereotipi sessuali, dimostrando che l’atteggiamento degli insegnanti può influire sulle scelte e sui comportamenti dei bambini nei confronti dell’altro sesso.

Per confermare questa ipotesi, il gruppo di ricerca ha lavorato per due settimane con 57 bambini dai 3 ai 5 anni di età, iscritti a due differenti scuole per l’infanzia. I due asili erano uguali per numero e composizione delle classi, provenienza dei bambini e rapporto numerico tra insegnanti e alunni, ma, nell’esperimento, differivano per le scelte educative. Se in un caso vi era attenzione a non fare alcuna distinzione in base al sesso, nell’altro è stato chiesto alle maestre di rivolgersi agli alunni utilizzando un linguaggio che marcasse le differenze di genere e di promuovere azioni basate sulla distinzione: ad esempio, i bambini dovevano mettersi in fila dividendosi per maschi e femmine, e riporre i propri oggetti in due luoghi separati. In entrambi i casi, tuttavia, si evitava di pronunciare frasi del tipo: “Chi è più bravo, le femmine o i maschi?”, per non dare espliciti giudizi di merito che potessero far nascere inconsapevolmente pregiudizi sessuali.

Durante le due settimane, i ricercatori hanno osservato i bambini per scoprire se l’atteggiamento delle maestre influisse in qualche modo sui loro comportamenti nei confronti dei compagni dell’altro sesso. Alla fine del periodo di studio, inoltre, i ricercatori hanno parlato con i bambini per capire se avevano cambiato le loro abitudini di gioco o avevano sviluppato pregiudizi di natura sessuale.

I risultati riportano che nel primo asilo i bambini non hanno mutato il proprio atteggiamento nei confronti dell’altro sesso, ignorando tutti gli stereotipi di genere. Invece nel secondo asilo i bambini hanno sviluppato orientamenti precisi, sia riguardo alle attività preferite (per esempio, solo le femmine giocano con le bambole), sia nei comportamenti, come scegliere di giocare con altri alunni del proprio sesso piuttosto che di quello opposto. In altri termini, si è dimostrato come in un lasso di tempo relativamente breve, un comportamento manipolatorio degli adulti ha creato nei bambini stereotipi e orientamenti sensibili al genere.



                                                       

DIFFERENZE DI GENERE NELLA SCUOLA


   Kila il punto di vista delle donne

 
Educare alle differenze di genere: nodo cruciale per un orientamento di qualità
La scuola dovrebbe perseguire gli obiettivi di educazione a una cittadinanza di genere e
di promozione di una cultura di non discriminazione. Il tema delle differenza e delle differenze, di genere, ma non solo, costituisce un nodo cruciale per una scuola di qualità e per l’orientamento in età adulta, soprattutto per le donne, per le quali sono importanti azioni specifiche in grado di aiutarle
a entrare e rimanere nel mercato del lavoro. Eppure, si tratta di questioni che non ricevono l’attenzione che meritano o rischiano di
passare in secondo piano anche a causa dei comportamenti di difesa di poteri acquisiti. Il divenire donna o uomo, sostiene Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle Differenze all’Università Bicocca di Milano, non è un processo lineare. La vicenda tra i sessi, dato che è vicenda di culture e di vite, è educativa. Per questo motivo, una pratica pedagogica sessuata, che offra ascolto e centralità alle parole di giovani donne e uomini, è l’unica che possa offrire possibilità di comprensione di quel che accade e cambia.
Di certo si propone alla scuola di aprire una nuova riflessione su questa tessitura del proprio di sé donna e uomo, che è un lavoro quotidiano. L’immagine di sé nel futuro, il confronto con esperienze, vissuti e relazioni del presente, è il lavoro di crescita che dovrebbe avvenire soprattutto nel luogo educativo.
Eppure, spesso la scuola fa esattamente il contrario: ad esempio, nel momento in cui non pone a critica ruoli e ignora stereotipi sessuali, di fatto li pratica. Invece, dovrebbe offrire a ognuno le risorse per comprendersi, perché ogni donna e ogni uomo apprenda ad accettare e condividere intimamente la propria fragilità. La scuola è un luogo di donne, ma nelle stesse insegnanti c’è resistenza ad affrontare temi e compiti di una pedagogia sessuata; parallelamente, i giovani uomini hanno nella scuola pochi modelli del loro genere e vivono spesso carenze simili anche in famiglia. Come argomenta Stefano Ciccone, presidente dell’associazione
Maschile plurale, in un luogo come la scuola si infrangono le genealogie maschili perché la costruzione dei saperi formalizzati rende obsoleti i saperi maschili tradizionali. Non è un caso che a scuola i maschi vadano meno bene: il percorso di costruzione della propria identità, da parte di un uomo, è contrassegnato da continue iniziazioni, verifiche e minacce che richiamano la precarietà della propria virilità. Nell’ambito di una riflessione critica su ruoli sessuali e disparità tra donne e uomini che ancora oggi appare un campo di ricerca prioritariamente femminile, gli uomini, in un certo senso, sono tagliati fuori.
Parlare della costruzione delle identità di genere a scuola permette inoltre di affrontare la problematica questione di come costruire un dialogo tra generazioni diverse, come costruire percorsi e linguaggi che non facciano percepire questo dibattito come estraneo a generazioni di ragazzi e ragazze che vivono nella scuola.
Si tratta di un modo di porsi molto complesso, che chiama in causa piani diversi e che è di difficile attuazione a livello di politiche educative.
Differenze di genere nei sistemi educativi europei: lo studio
Nel giugno 2010, la Commissione europea ha presentato uno studio, Gender Differencies in Educational Outcomes: Study on the Measures Taken and the Current Situation in Europe, che si basa sui dati raccolti da Eurydice , rete informativa sulle politiche educative istituita dalla Commissione nel 1980. La ricerca analizza i sistemi di 29 Paesi (i 27 Stati membri dell’Unione europea – eccetto la Bulgaria – più Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e prende in esame le modalità attraverso le quali i Paesi europei affrontano le disuguaglianze tra i sessi in ambito educativo.
L’analisi mostra che ci sono ancora molte differenze tra maschi e femmine, sia nella scelta degli studi, sia nei risultati dell’apprendimento.
Tutti i Paesi europei, tranne alcune eccezioni, dispongono di politiche in materia di parità tra i sessi nel campo dell’istruzione, o intendono dotarsene. L’obiettivo è superare i ruoli tradizionali e gli stereotipi, lavorando per l’aumento delle donne negli organi decisionali, il superamento di certi modelli educativi e la lotta alle molestie di genere nelle scuole. Mancano, però, o sono scarse, le iniziative volte a informare i genitori sulle tematiche della parità tra i sessi e a coinvolgerli di più per promuoverle.
Le ragazze raggiungono di solito livelli di istruzione più elevati e ottengono un punteggio maggiore negli esami di diploma rispetto ai maschi, che hanno più probabilità di ripetere l’anno o lasciare la scuola. Le donne rappresentano la maggioranza degli studenti e dei laureati in quasi tutti i Paesi, in particolare nei settori dell’istruzione, del welfare, della sanità e negli ambiti umanistico e artistico, mentre sono più in difficoltà con la matematica.
In Italia, si assiste ancora a segregazioni di tipo orizzontale e verticale.
In mancanza di un orientamento adeguato, sia maschi sia femmine scelgono in prevalenza percorsi di studio che ricalcano i ruoli tradizionali: le ragazze sono sovrarappresentate negli indirizzi socio-pedagogici e artistici, mentre sono in minoranza negli istituti tecnici.
Inoltre, se l’insegnamento si caratterizza per una netta femminilizzazione, pochissimi Stati hanno adottato iniziative concrete per attrarre personale di sesso maschile. Come se non bastasse, la proporzione delle donne tra il personale didattico cala con l’ascesa nella piramide dirigenziale, soprattutto a livello universitario.
Le politiche educative in Italia
In Italia si può dire che, in linea generale, le politiche per l’uguaglianza di genere relative alla scuola sono marginali.
Intorno agli anni 80, il gruppo di filosofe
Diotima , supportato da insegnanti e studiose di pedagogia, elabora un’applicazione pedagogica che si propone di rifondare la pratica dell’insegnamento alla luce dei capisaldi del pensiero della differenza. La pedagogia delle differenza considera la differenza sessuale come fattore in grado di rimettere in discussione le modalità di organizzazione e trasmissione dei saperi, uscendo dal regime di neutralità che le caratterizza.
Negli anni 90, questa impostazione confluisce nel Movimento per un’Autoriforma Gentile, che ha tentato di portare al centro di un progetto di cambiamento della scuola la relazione educativa e i linguaggi, riflettendo sulla relazione tra maschile e femminile.
Dall’inizio degli anni 90, inizia un percorso istituzionale delle politiche di pari opportunità, sia con la
legge n. 125 del 91 (PDF, 93 KB), sia la nascita degli organismi di parità, che nel 1990 interessa il mondo dell’istruzione, quando nasce il Comitato per le Pari Opportunità all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione. Nei tre Piani d’azione messi a punto fino alla fine dell’attività, nel 2000, da un lato si sottolinea il ruolo della differenza, come necessità di tener conto dei limiti di un progetto politico fondato solo sulle strutture dell’esistente; dall’altro lato, però, non si coinvolgono attivamente gli uomini e, in particolare, nella scuola, gli studenti e la componente maschile del corpo docenti.
Pur coi suoi limiti, basandosi a livello teorico sul ruolo centrale alla formazione e all’aggiornamento dei docenti, oltre alla necessità di aprirsi al dialogo con gli uomini, il Comitato dà origine a reti locali di insegnanti e dirigenti scolastici e nel suo solco si collocano le iniziative successive.
La
Direttiva Prodi Finocchiaro del 27 marzo 1997 (PDF, 32 KB), contenente azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, dedica una sezione all’obiettivo strategico della “formazione a una cultura di genere”. Nel documento viene rimarcato l’obiettivo di entrare negli insegnamenti curriculari, il tema della formazione dei docenti, oltre a dichiarare la volontà di inserire le questioni di genere in contesti più ampi, come il rispetto delle differenze, la mediazione, l’educazione della sessualità e i rapporti tra i sessi fondati sull’affettività.
Se la direttiva, negli anni successivi, ha avuto applicazione parziale per il mondo dell’istruzione, il suo spirito è stato interpretato meglio in relazioni ai contesti universitari dalla Ministra Laura Balbo, che nel 99 firma un
Protocollo (PDF, 27 KB) tra Dipartimento per le Pari Opportunità e Conferenza dei Rettori, per dare impulso ad azioni finalizzate a garantire l’uguaglianza di genere nelle carriere accademiche. Il protocollo ha istituito il Delegato del Rettore per le Pari Opportunità e gli studi di genere, prevedendo che tutte le delegate formassero una conferenza che si incontrava periodicamente.
Negli ultimi anni, nelle Università, esiste fermento intorno agli studi di genere, anche grazie all’istituzione dei Corsi Donne Politica e Istituzioni (attivi anche presso ilCIRSDe, a Torino), frutto di un’intesa tra la Ministra per le Pari Opportunità e il Ministro dell’Università e della ricerca, in collaborazione con la Scuola Superiore della Pubblica amministrazione, grazie alla delibera CIPE n. 17 del 9 maggio 2003 (PDF, 435 KB), che ha assegnato, nell’ambito delle risorse destinate dalla legge finanziaria 2003 alle aree sottosviluppate, 7 milioni al Ministero per le Pari Opportunità per realizzare progetti con cui ridurre il disagio occupazionale e sociale della donna. È anche nata una rete tra i corsi, la Rete Nazionale DPI.


altre risorse sul tema del ruolo genitoriale



Altre risorse:

Questa pagina è un L.O., preso da una traccia del corso di Progettazione e valutazione degli interventi educativi. 

Questa pagina L.O è stata presa da Trio, il sistema web learning della regione Toscana. 

bibliografia: i genitori e le pratiche educative


Bibliografia:
- "Tra il dire e il fare. I genitori tra rappresentazioni educative e pratiche di cura." Francesca Zaltron. Donzelli editore 2009
- "Non è sempre la solita storia. Interrogare la tradizone, dar voce alla differenza di genere nelle pratiche educative."  Elisabetta Musi. FrancoAngeli 2008
- "Il genere come risorsa comunicativa: maschile e femminile nei processi di crescita." Elena Besozzi. FrancoAngeli 2003

sitografia sul tema " ruolo dei genitori"




- Psicologicamente blog 

Una psicologa dell'università del Michigan ha condotto uno studio per analizzare quanto i genitori influiscono sulle sviluppo dei loro figli, in particolare sulle competenze matematiche e se c'è differenziazioni di genere in questo ambito.

E’ mentre giocano con i genitori che i bimbi assimilano le differenze di genere. Secondo una ricerca pubblicata su Sex Roles e realizzata dai ricercatori di un’università americana, i comportamenti dei due genitori sono abbastanza simili quando si trattava di mangiare, lavare e accudire i piccoli o altre operazioni di cura quotidiana

Eric Lindsey nella ricerca pubblicata sulla rivista Sex Roles spiega l'influenza dei genitori nei confronti dei loro figli  sin dai primi anni di vita, soprattutto nei contesti legati al gioco

- Bravi bimbi
http://www.bravibimbi.it/news-bimbi/giochi-diversi-con-mamma-e-papa/

Giochi diversi con mamma e papà. Dati istat sulle diverse attività condotte dai bambini in rapporto al sesso e con chi conducono i giochi.

aboliamo il sesso ai giocattoli


ABOLIAMO IL SESSO AI GIOCATTOLI 

IL CONDIZIONAMENTO ARRIVA ANCHE DAI GENITORI



In un'intervista dei 2008, il professore di psicologia Jeffrey Goldstein, allora presidente del "National toy council" di Londra, affermava che le responsabilità delle scelte dei bambini non dipenderebbero solo dai produttori di giocattoli, ma anche dai genitori. Secondo il professore, la madre e il padre avrebbero la naturale e spesso inconscia attitudine a seguire un sentiero già tracciato, suggerendo tacitamente un ruolo e un comportamento "adeguato" fin dai primi anni di vita del piccolo. Tra l'altro, per gli studiosi della materia, nel mondo infantile di oggi le differenze di genere sarebbero molto più pronunciate che negli anni passati. Così, mentre nel lavoro e nella società in generale maschi e femmine sono più allineati e "mescolati" rispetto ai decenni scorsi, nella prima infanzia i giochi sono, invece, sempre più separati, al punto che i negozi tendono a tracciare una netta linea di confine tra i reparti dedicati alle bambine e quelli di competèriza dei maschietti.
Creare spazi comuni per offrire più scelta
A parere degli studiosi, i giocattoli possono contribuire ad accantonare la contrapposizione netta tra maschile e femminile, che impoverisce le competenze di entrambi. Invece, creare spazi comuni in cui ciascuno possa fare una scelta libera e sperimentare ruoli diversi non può che arricchire il bagaglio personale di conoscenze e di esperienze essenziali alla crescita.  Meglio, dunque, non confinare le bambine solo in giochi di cura e di immaginazione, relegandole al ruolo di principesse passive, circondate di bambole o di aspirapolvere in miniatura; e, viceversa, non indirizzare il maschio unicamente verso giochi "sociali" di squadra o legati alla sola forza e alle abilità fisiche.